COME I SENSI DI COLPA E LA RICERCA DI APPROVAZIONE CI RENDONO MANIPOLABILI

Scritto da: Annalisa Barbier

 

Esistono diverse cause che possono indurre sensi di colpa, come spiego nel precedente articolo:  per espiare i propri errori o presunti tali, al fine di sentirsi sollevati dal disagio legato all’aver violato delle norme morali (esterne o interiori), per attirare la pena ed il perdono altrui mostrandosi costernati, abbattuti e tristi (ciò accade soprattutto quando si è incapaci di perdonare se stessi), per guadagnare l’approvazione e la protezione degli altri mostrandosi mortificati e pentiti di ciò che si è fatto, per farsi compatire ed ottenere attenzione ed affetto, deresponsabilizzarsi nei confronti dei comportamenti tenuti (la colpa è degli “altri” che ci fanno sentire in colpa…), o infine per non impegnarsi in un processo di rivalutazione e cambiamento dei propri valori, delle proprie regole morali e dei propri comportamenti.

Questo ultimo caso permette infatti di non crescere, poiché limitandosi a dolersi per il danno compiuto non si fa il passo successivo, che è quello di darsi da fare per comprendere le motivazioni dei propri errori al fine di non compierli nuovamente.

In questo breve articolo, mi vorrei soffermare su un fenomeno particolarmente frequente tra le persone che manifestano comportamenti di dipendenza affettiva: il senso di colpa legato al bisogno di ottenere approvazione.

Sappiamo che il senso di colpa è anche alla base di un meccanismo di controllo dei comportamenti socialmente disapprovati: esso infatti è solitamente vissuto nelle circostanze in cui si viene meno ad una regola di comportamento condivisa (ad esempio se si fa del male ad una persona inerme, si ruba, si mente arrecando danno a qualcuno ecc). In questo ambito, il senso di colpa ha una valenza “educativa” e di controllo scoraggiando, con la sua dolorosità, il ripetersi di comportamenti ed atti nocivi per la comunità e per l’individuo.

Tuttavia può accadere che ci si senta in colpa nei confronti di qualcuno pur sapendo di non aver fatto nulla di male. Anzi, a volte proprio perché non si è fatto qualcosa che altri si aspettavano da noi, o si è venuti meno alle aspettative altrui.

E’ il caso in cui il senso di colpa diventa una potente leva sulla quale agiscono i manipolatori, insieme ad un’altra potente leva: la paura (per saperne di più sulla manipolazione leggi QUI).

 

Nelle relazioni caratterizzate da un coinvolgimento emotivo come quelle con un genitore, un caro amico, un partner o in ambito professionale,  è possibile restare “vittime” dei tentativi di manipolazione che l’altro agisce con l’intento – più o meno consapevole – di farci fare ciò che vuole e che altrimenti non sceglieremmo di fare spontaneamente.

Ciò che fa la differenza in questi casi è l’attivazione di quello che definisco il “gancio relazionale”, cioè quella particolare leva che rende esposti all'influenza dell’altro perché rappresenta qualcosa a cui non si vuole in nessun modo rinunciare: l’immagine positiva che si vuole rimandare (come ad esempio essere sempre considerati bravi, buoni, capaci, attivi, ecc.), il volersi mostrare capaci e meritevoli di amore, il voler “far andare bene le cose a tutti costi”, il volersi sentire amati e approvati ecc.

Ognuno di noi possiede uno o più “ganci relazionali”, potenzialmente attivabili in determinate circostanze, e che potrebbero esporre a difficoltà nel dire di no o nell'opporsi alle eccessive richieste altrui. Tuttavia, in presenza di un buon livello di autostima e di amore di sé, di una buona consapevolezza delle proprie dinamiche interiori e soprattutto della capacità di essere autonomi emotivamente, tali ganci sono più difficilmente attivabili, poiché il senso del proprio valore personale e dei confini sé/altro impedisce di accondiscendere al “baratto emotivo” in cui SI ACCONDISCENDE PER OTTENERE QUALCOSA CHE SI CONSIDERA PRIORITARIO (amore, approvazione, ammirazione ecc.)

Questo accade quando, ad esempio, ci viene chiesto qualcosa che per noi è impegnativo o in contrasto con il nostro modo di vedere le cose, o che reputiamo spiacevole fare e l’altro, di fronte al nostro “no”, reagisce attivando in noi il senso di colpa o la paura dell’abbandono.

I meccanismi di manipolazione che fanno leva sul senso di colpa possono raggrupparsi nei seguenti atteggiamenti:

1)    Punizione: SE non farai questa cosa per me ALLORA vuol dire che sei una persona “cattiva,  e io ne terrò conto;

2)    Autopunizione: SE non farai questa cosa per me, ne soffrirò così tanto che arriverò a farmi del male (ad es. minacce di suicidio, di gesti autolesivi come abuso di alcol o sostanze ecc.) per non sentire questo dolore;

3)    Vittimizzazione: l’altro accetta formalmente il rifiuto (es. “capisco, mi rendo conto che non puoi/vuoi…”) tuttavia invece, in maniera ambigua e subdola, fa passare chiaramente il messaggio che ne soffrirà molto (es. “certo sarà molto dura per me…”) e che il rifiuto gli provocherà disagio e dispiacere.

 

Si potrebbe rispondere alla richiesta:

1)    continuando a dire “no” se non la si ritiene opportuna, adeguata, condivisibile ecc…

2)    oppure, nel caso si attivi il “gancio relazionale” ci si ritroverà a tornare indietro sui propri passi, accondiscendendo alla richiesta.

Il “gancio relazionale” funziona quando, deludere le aspettative dell’altra persona, significa anche automaticamente non ottenere quella dose di approvazione, amore, senso di controllo o potenza di cui si ha bisogno per sentire il proprio valore.

Ecco in che modo le aspettative degli altri agiscono su di noi facendo leva sui nostri ganci emotivi: attraverso l’attaccamento assoluto a ciò che l’altro ci darà se soddisferemo le sue richieste. Approvazione. Accudimento. Condivisione. Vicinanza. Ecc. Spesso il timore della disapprovazione fa scattare il senso di colpa, naturale guardiano interiore che ci avvisa che stiamo facendo qualcosa di sconveniente.

 

ATTACCAMENTO INSICURO E RICERCA DI APPROVAZIONE

Il bisogno di approvazione ha radici profonde, che affondano nel passato dei primi importanti rapporti di amore: quelli con le figure di riferimento, solitamente i genitori. E’ in questo ambito che si sviluppano quelli che vengono definiti gli  Stili di Attaccamento, o Modelli Operativi Interni (MOI) (M. Ainsworth, John Bowlby). L’attaccamento è un insieme di pensieri, emozioni e comportamenti finalizzati ad ottenere la protezione e l’accudimento della figura di riferimento (es. genitore), ed i MOI sono dei modelli interni di riferimento per la costruzione delle relazioni intime, che contengono il modo in cui rappresentiamo noi stessi e l’altro nella relazione, insieme alle aspettative riguardo il modo in cui gli altri saranno o meno disponibili a soddisfare il nostro bisogno di protezione, accudimento e condivisione.

Se da bambini si sperimentano relazioni incerte ed instabili con la figura di attaccamento, probabilmente si svilupperanno modelli adulti (attaccamento preoccupato/invischiato) in cui prevale la sensazione di non essere abbastanza meritevoli, per cui si devono continuamente ricercare e “meritare” l’amore e la cura dell’altro: nelle relazioni sperimenteremo controllo e gelosia, tendenza alla dipendenza e ad essere eccessivamente compiacenti, paura di essere lasciati ed alternanza di comportamenti rabbiosi e aggressivi con richieste di contatto, consolazione e sottomissione. Il bisogno di approvazione si accompagna al sentimento di inadeguatezza, indegnità o incapacità per cui l’approvazione rappresenta il primo passo verso quel supporto e quell'amore di cui si necessita.

 

COSA FARE?

Il primo passo da fare per liberarsi dal bisogno eccessivo di approvazione è quello di rendersi conto di esso, attraverso i sensi di colpa e il disagio che compaiono quando si dice “NO”.

Poi occorre comprendere quanto esso sia dannoso: infatti, la continua ed eccessiva ricerca dell’approvazione altrui o l’evitamento della disapprovazione, nel tempo, portano con sé delle importanti conseguenze: perdita del senso di identità (si finisce per non sapere più cosa ci piace e cosa no), indebolimento ulteriore dell’autostima, relazioni interpersonali “viziate” e non intime (quando non ci si mostra mai per come si è non può costruirsi una reale intimità con l’altro), paura dell’abbandono, depressione, senso di confusione, disturbi d’ansia.

 

Occorre considerare e vedere, attraverso pensieri, emozioni e comportamenti, il legame esistente tra bisogno di accudimento e protezione, ricerca dell’approvazione e senso di colpa.

  1. Imparare a rinunciare all'approvazione ogni tanto, ricordando a se stessi quanto pericoloso sia volerla a tutti i costi
  2. DIRE DI NO alle richieste che si considerano inappropriate, spiacevoli, ingiuste o eccessive senza farsi influenzare dalla paura delle conseguenze
  3. Considerare i sensi di colpa che compaiono dopo aver detto NO, come il sintomo della paura di essere disapprovati, e non come l’indice di una mancanza. Togliere loro il potere di turbarci.

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Commenti: 4
  • #1

    Andrea Carubia (sabato, 16 gennaio 2016 15:15)

    Articolo che ho apprezzato molto per il suo contenuto interessante ed esaustivo. Sono un Suo collega e comprendo quanto il senso di colpa e la necessità di essere approvati sempre e da tutti rappresenti una componente di rilievo per diversi disagi psicologici.
    Complimenti dott.ssa Barbier.

  • #2

    Annalisa Barbier (sabato, 16 gennaio 2016 15:29)

    Gentile Andrea, la ringrazio molto per il suo apprezzamento e per l'interessamento verso queste delicate tematiche.
    Un caro saluto
    AB

  • #3

    Alessandra (martedì, 22 maggio 2018 14:48)

    In un rapporto di amicizia frasi come "se sei davvero mia amica come dici, fai così", "se mi vuoi bene, fai così/torna la persona che mi piace tanto", "mi stai deludendo,pensavo mi volessi più bene di così", "io non ho mai detto di esser perfetta, però", "pensa come vuoi, visto che non mi credi" e dopo che tu rispondi "posso anche crederti ma vedo i fatti, che non sono molto diversi da come ho scritto", sentir dire "non meriti altre risposte"... e simili come possono essere considerati?

  • #4

    walter (sabato, 16 giugno 2018 12:18)

    Gentile dottoressa, ho letto il suo articolo e mi sono trovato e mi trovo nella condizione

    da lei descritta spesso, con incapacità a dire di no per non ferire l'altro anche quando devo mostrare le mie ragioni o quelle del cliente ai miei colleghi avversari, addirittura ho portato

    avanti una relazione per due o tre anni invece di dire alla ragazza che non provavo piu nulla pur di non deluderla. Non è detto che la contatterò un saluto.
    Walter