ATTACCAMENTO E DIPENDENZA AFFETTIVA

Scritto da:  Annalisa Barbier


Tutti temiamo l’abbandono. L’abbandono è un lutto, una perdita, una perdita dell’equilibrio e della stabilità, una minaccia alla nostra sopravvivenza fisica o psicologica. Una sfida a farcela da soli, a resistere e a ricominciare.

Si tratta certo di argomento di non facile né veloce trattazione; tuttavia di grande interesse, perché la ferita di un abbandono (o di un evento come tale vissuto) è destinata a restare dentro di noi in una forma o nell’altra, forgiando il nostro mondo interiore, il nostro atteggiamento verso l’altro e la nostra capacità di nutrire una fiducia sana, matura e saggia (vedi un mio precedente post dal titolo “ fiducia idealizzata e sfiducia globale“).

Prima di parlare del tema dell’abbandono vorrei fare un passo indietro ed esporre, seppur brevemente, la teoria dell’attaccamento di Bowlby, nella quale l’autore definisce non soltanto i diversi stadi che scandiscono l’attaccamento del bambino alla figura di riferimento, ma anche – ciò che a noi più interessa in questa sede – le diverse modalità di attaccamento sviluppate, che possono essere più o meno sane e funzionali.

Stili diversi di attaccamento infatti, portano a differenti reazioni all’abbandono.

 

L’ATTACCAMENTO

Bowlby definì l’attaccamento come la:

Propensione innata a cercare la vicinanza protettiva di un membro della propria specie quando si è vulnerabili ai pericoli ambientali per fatica, dolore, impotenza o malattia

(J. Bowlby, 1969).

L’attaccamento può essere anche definito come un sistema dinamico  di comportamenti che contribuiscono alla formazione di un legame specifico fra due persone, un vincolo le cui radici possono essere rintracciate nelle relazioni primarie che si instaurano fra bambino e adulto.

Le fasi dell’attaccamento identificate da Bowlby sono le seguenti:

  1. 0-3 mesi pre-attaccamento: il bambino riconosce la figura umana quando compare nel suo campo visivo ma non discrimina le persone;
  2. 3-6 mesi attaccamento in formazione: inizia la formazione di un legame; il bambino discrimina le figure e ne riconosce una in particolare (quella che lo cura, lo coccola, lo nutre).  Compare la paura dell’estraneo;
  3. 7-8 mesi angoscia: non avendo sviluppato il concetto di “permanenza dell’oggetto”, la lontananza dalla figura di riferimento provoca angoscia nel bambino;
  4. 8-24 mesi fase di attaccamento vero e proprio;
  5. 3 anni in poi formazione di legami: la figura allevante viene riconosciuta dal bambino che, oltre ad identificarne le caratteristiche fisiche, diviene consapevole dei propri sentimenti, emozioni, sensazioni.

In base alle risposte fornite dalla la figura di riferimento, il bambino strutturerà una specifica tipologia di legame o “stile di attaccamento”, che potrà essere funzionale o meno. In futuro, crescendo, questo stile di attaccamento si concretizzerà in modelli operativi relazionali, che tenderanno a riprodurre lo stesso modello di attaccamento nelle relazioni future (comprese quelle sentimentali, in cui la componente emotiva è molto forte).

Bowlby distinse quindi 4 stili di attaccamento, caratterizzati ognuno da specifiche caratteristiche della figura di riferimento e della relazione con questa, e da un altrettanto peculiare stile di considerazione di sé e di relazione con l’altro.

  1. ATTACCAMENTO SICURO:  permesso dalla presenza di figure di attaccamento stabilmente disponibili e pronte a rispondere positivamente alle richieste di accudimento, vicinanza e conforto. Il modello di Sé che si costruisce è amabile, meritevole di amore ed attenzioni, capace di suscitare nell’altro risposte positive di affetto e accudimento.  L’altro viene vissuto come disponibile e degno di fiducia. Con il passare degli anni, il bambino sviluppa una relazione basata su senso di stabilità, accudimento ed accettazione. Si sente sereno, accettato e protetto ma anche libero di esplorare. Matura fiducia in sé, nell’altro e nelle proprie risorse.
  2. ATTACCAMENTO EVITANTE: indotto da figure di attaccamento indisponibili, non affettuose e tendenzialmente propense ad ignorare ed allontanare rifiutandole, le richieste di contatto e vicinanza del bambino, che viene tenuto a distanza. Il bambino sviluppa un modello operativo interno basato sulla convinzione di un Sé “poco amabile” non meritevole di amore ed attenzioni , incapace di suscitare nell’altro risposte positive di affetto e accudimento.  L’altro viene vissuto come indisponibile. Negli anni, il soggetto alterna momenti di indipendenza a momenti di ricerca di accudimento. Crescendo, tende a scindere gli affetti negativi verso la madre non elaborati proiettandoli sulla società, con comportamenti ribelli o contestativi. Tende a non attaccarsi all’altro.
  3. ATTACCAMENTO ANSIOSO-AMBIVALENTE:  le figure di attaccamento degli individui che sviluppano questo modello di attaccamento, mostrano comportamenti imprevedibili ed incostanti: a volte sono accoglienti a volte rifiutanti nei confronti delle richieste di accudimento e vicinanza. Possono mostrarsi intrusive ed ipercontrollanti. Nel bambino si formano quindi 2 modelli operativi interni: 1) Sé amabile e figura di attaccamento degna di fiducia; 2) Sé non amabile e figura di attaccamento indisponibile. Il soggetto tende ad avere costantemente bisogno di accudimento, mostrandosi inoltre costantemente preoccupato ed angosciato dal comportamenti imprevedibile dell’altro, aggrappandovisi e temendo l’abbandono.
  4. ATTACCAMENTO DISORGANIZZATO: questi individui hanno avuto figure di attaccamento sofferenti a causa di violenze subite, o depressione o altri eventi traumatici gravi. Sono immerse in una dimensione di dolore ed angoscia ed incutono timore. Il modello operativo interno che si sviluppa può assumere diverse forme: 1) Sé amabile ed altro disponibile; 2) Sé vittima impotente e altro minaccioso; 3) Sé pericoloso per le persone amate; 4) Sé e figura di attaccamento deboli di fronte al mondo esterno. Lo sviluppo nel soggetto di questa modalità  di attaccamento descritto da Bowlby, origina da figure di attaccamento (mamme, figure di riferimento) con gravi problemi legati ad abusi, violenza o malattie psichiatriche. Tale stile di attaccamento genera solitamente personalità BORDERLINE o PSICOTICHE.

L’ABBANDONO

Collocato ai primi posti nella scala degli eventi stressanti elaborata nel 1967 da Holmes e Rahe, l’abbandono è a tutti gli effetti un trauma che deve essere elaborato.

In ambito affettivo, la perdita del partner viene considerata pari alla morte di una persona cara, come un’esperienza di “lutto” (dal latino luctus= pianto e lugere= piangere) ed è caratterizzata da una forte reazione emozionale di tristezza, dolore, sgomento, paura e angoscia.

Nel momento in cui si perde il partner (non per morte), si deve anche iniziare a fare i conti con una nuova realtà, in cui l’altro continua a vivere senza di noi una vita indipendente e distaccata dalla nostra. Vengono meno le familiari e strutturate abitudini di vita insieme, gli impegni e le attività in comune. Vengono meno alcuni amici. Viene meno il senso di intimità, continuità, appartenenza, esclusività, supporto e vicinanza con il partner. Viene meno anche il riferimento della abitazione che si aveva in comune,  nel caso ci si separi dopo convivenza o matrimonio.

Le perdite sono molte e riguardano diversi aspetti della vita: da quello emotivo, a quello familiare, a quello economico e domestico.

La reazione all’abbandono comprende una serie di manifestazioni sia fisiche che psicologiche.

  • MANIFESTAZIONI ORGANICHE: possiamo trovare tutti i disturbi della sfera vegetativa come stanchezza cronica, disturbi del sonno e dell’alimentazione, disturbi digestivi, aumento della pressione, interruzione del ciclo mestruale, problemi sessuali, caduta dei capelli, cefalee, abbassamento delle difese immunitarie.
  • MANIFESTAZIONI PSICOLOGICHE:  tristezza, senso di vuoto e di angoscia, paura, perdita di interesse per se, per gli altri e per il proprio futuro, incapacità di concentrarsi, irritabilità ed episodi di rabbia, pianto, disturbi del sonno, dell’appetito e della sfera sessuale. A queste possono sommarsi in misura diversa ansia, fobie, ossessioni, attacchi di panico, disturbo post- traumatico da stress, dipendenze da alcol, farmaci, gioco.

E’ importante notare come le reazioni all’abbandono dipendano anche dallo stile di attaccamento nella loro manifestazione e soprattutto nella loro evoluzione; non è infrequente riscontrare infatti tra gli autori di stalking in seguito a rottura di una relazione, soggetti con stile di attaccamento ansioso-bivalente. Gli individui che hanno sviluppato un modello di attaccamento sicuro hanno maggiori strumenti e probabilità di affrontare in maniera costruttiva e funzionale la sofferenza derivante dall’abbandono, contrariamente a quanto accade invece per le altre categorie di attaccamento, in cui prevalgono sentimenti ambivalenti, distruttivi, ansiosi e depressivi.

Esistono delle differenze fondamentali nel modo in cui donne e uomini vivono il dolore dell’abbandono:

  • le donne tendono a manifestare reazioni emotive più intense rispetto agli uomini; parlano di più e più approfonditamente dei loro sentimenti e spesso cercano supporto ed aiuto psicologico per superare le difficoltà.
  • gli uomini tendono a nascondere le loro emozioni profonde ed evitano di confidarsi con familiari o amici; piuttosto cercano distrazione nel superlavoro, nello sport o in comportamenti di abuso  e dipendenza (alcol, droghe o gioco d’azzardo). Spesso inoltre gli uomini reagiscono con rabbia e disprezzo attuando comportamenti offensivi e lesivi della ex partner (stalking, fino ad arrivare all’omicidio).

E’ molto importante, nel caso ci si trovi ad affrontare una separazione dolorosa, ricorrere al sostegno e all’aiuto di uno psicologo,  al fine di affrontare in maniera costruttiva e non distruttiva l’esperienza di abbandono,  e di crescere nella consapevolezza diventando più forti e capaci di gestire  in maniera sana e funzionale il dolore e la rabbia.

  • Occorre innanzitutto essere consapevoli che ci vorrà del tempo; quindi NON PRETENDERE da se stessi di stare bene subito
  • Imparare a “stare nel dolore”, sapendo che è parte integrante del processo di guarigione
  • Concedersi un giusto periodo di sofferenza legata alla perdita
  • Non lasciarsi andare ai sensi di colpa e di inadeguatezza pensando che se si fosse fatto meglio o di più la separazione non sarebbe accaduta
  • Non coltivare desiderio di vendetta o rivincita
  • Comprendere le ragioni dell’altro, cercare di mettersi anche nei suoi panni può aiutare a non vederlo più soltanto come “il carnefice”
  • Imparare a conoscere segnali e i consigli che la nostra “parte saggia” ci invia attraverso i sogni e l’immaginazione o l’intuizione

Lo psicologo infatti potrà aiutare la persona innanzitutto a gestire al meglio lo stress ed i sintomi fisici derivanti dalla separazione (ansia, attacchi di panico, disturbi del sonno o alimentari ecc). Successivamente, la aiuterà ad elaborare il lutto con gradualità e rispetto per il dolore, facendo emergere le sue emozioni profonde, anche quelle indesiderate. Con il tempo il dolore si attenuerà, la conoscenza di sè si farà più solida e la persona riacquisterà un nuovo senso di stabilità emotiva ed autonomia che la porterà ad affrontare al meglio le esperienze successive.

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Commenti: 2
  • #1

    carmenvitali@virgilio.it (giovedì, 14 febbraio 2019 05:50)

    Buongiorno,mi farebbe piacere sapere se la Dipendenza affettiva può essere il risultato ANCHE di un eccesso di attenzione e cura in età infantile, ovvero il contrario di una relazione insicura con la figura materna. GRAZIE E COMPLIMENTI PER L'ARTICOLO. CARMEN

  • #2

    Annalisa (venerdì, 15 febbraio 2019 07:58)

    Gentile Carmen la ringrazio per la domanda interessante. Nella mia esperienza personale non ho riscontrato casi in cui vi fosse stato un rapporto infantile senza "intoppi" con la figura materna o paterna. Spesso infatti, andando ad approfondire, emergono criticità relative al modo in cui la persona ha vissuto il rapporto di attaccamento con le figure di riferimento. Non sempre è necessario che vi siano state franche patologie all'interno dei legami familiari o genitoriali, ma il modo in cui questi sono stati vissuti soggettivamente, è spesso legato alle difficoltà che compaiono nel vivere le relazioni in età adulta. Dunque non escludo assolutamente che, la presenza di una figura materna particolarmente protettiva o eccessivamente presente, possa portare l'individuo a sviluppare modalità di attaccamento e relazionali adulte difficoltose. Nello sviluppo dei legami di attaccamento infatti influiscono anche le variabili del tutto soggettive e temperamentali del bambino. La dipendenza affettiva inoltre a mio avviso NON si verifica in tutte le relazioni sentimentali ma è legata anche alle caratteristiche del partner e dunque della specifica relazione.