Negazione del bisogno di appartenenza e dipendenza affettiva

Scritto da: Dott.ssa Annalisa Barbier

 

In questi giorni mi è capitato spesso di affrontare pubblicamente il tema della dipendenza affettiva e delle relazioni sentimentali abusanti, passando attraverso la violenza psicologica fino a giungere alla violenza fisica estrema, che si conclude con l’annientamento materiale della partner.

Ho affrontato il tema della dipendenza affettiva dal punto di vista strettamente psicologico e psicopatologico, facendo riferimento alle spiegazioni e alle teorie più comunemente accreditate, in grado di spiegare il fenomeno all’interno del sistema psicologico individuale.

Si parla a ragione dell’influenza di famiglie d’origine abusanti, della costruzione di stili di attaccamento disfunzionali, della stratificazione di convinzioni, assunzioni interiori e schemi psicologici basati sinteticamente sulla pericolosa equazione “SE L’ALTRO MI AMA ALLORA ESISTO ovvero ESISTO SOLO ATTRAVERSO LO SGUARDO E L’ATTENZIONE DELL’ALTRO”, che spesso si traduce in criteri normativi che regolano l’esistenza e che portano a considerare cosa fare e cosa non al fine di “farsi amare” dall'altro o comunque di non farsi lasciare (abbandonare…) e che suonano più o meno così:

  • devo soddisfare sempre le aspettative dell’altro;
  • devo occuparmi prima delle richieste e bisogni dell’altro;
  • devo essere perfetto/a; non mi devo lamentare o resterò da solo/a;
  • devo far andare bene le cose a tutti i costi;
  • devo essere comprensivo/a e tollerante;
  • devo guarire l’altro dai suoi mali, siano essi spesso dipendenze di ogni sorta o depressione o altri disturbi psichiatrici ecc...

Posso affermare con una buona accuratezza che, dal punto di vista psicologico, la maggior parte delle volte nel cuore delle donne (e degli uomini) che vivono e tollerano una relazione abusante, vige incontrastata e inconsapevole la convinzione di NON ESSERE AMABILI e di doversi dunque rendere amabili a tutti i costi affinché l’altro ci renda degni di amore ed attenzione.

Cosa poi occorra fare e sopportare per “rendersi amabili” diviene velocemente una spirale interminabile e sempre più stringente di richieste, pretese, rinunce, sopraffazioni, svilimento e annientamento di sé.

 

Non si può tuttavia analizzare il fenomeno della dipendenza affettiva, che sta assumendo una così ampia portata, senza fare riferimento anche ai cambiamenti che caratterizzano il contesto sociale e culturale all’interno del quale nasce e si verifica.

Volgendo lo sguardo intorno a noi, osservando come vanno le relazioni tra le persone (amicali, familiari e sentimentali), ascoltando i discorsi della gente per la strada, in metro o al ristorante e ancor di più riflettendo sulle le trasmissioni televisive che vanno per la maggiore, alcuni aspetti trasversali che caratterizzano il vissuto della società odierna saltano all’occhio del  buon osservatore:

·        profondo, endemico vissuto di noia

·        difficoltà se non incapacità a portare a termine le cose

·        scarsa capacità di tollerare limiti, difficoltà e frustrazione

·        intolleranza verso le regole

·        senso profondo di solitudine e isolamento

·        senso di non appartenenza

·        paura

·        incapacità di stabilire relazioni veramente intime

·        superficialità e consumismo (anche relazionale)

·        ricerca compulsiva di stimoli (sensation seeking)

·        ripugnanza per la routine e l’abitudine

·        ricerca della novità come fonte di eccitazione e fuga dal senso di vuoto interiore

·        incapacità di entrare in contatto con le proprie emozioni di perdita, dolore, tristezza, paura, angoscia

·        tendenza a dipendere da elementi esterni (finanche relazioni o persone)  finalizzata ad attenuare un doloroso vissuto di noia, angoscia o non appartenenza

 

Una società che ha abdicato al ruolo paterno produce mostri: individui soli, confusi, fragili, mascherati e tutti concentrati sulla superficie dell’essere (immagine, maschera, apparenza). Individui completamente incapaci di “sentire”.

Laddove le istituzioni, nel ruolo di garanti sociali (famiglia, religione, scuola) scompaiono o rinunciano definitivamente alla missione educativa che prevede la trasmissione di regole, valori e limiti, l’individuo si trova completamente spaesato ed alienato da se stesso.

Il bisogno di dipendenza ed appartenenza, di contenimento e limite che in certa misura è fisiologico nell’essere umano, vene completamente rinnegato e bandito dal paesaggio psichico come un ospite sgradito e inutile, per riemergere in maniera esasperata ed eclatante nelle tante forme di dipendenza comportamentale e da sostanze delle quali è facile trovare testimonianza. Nelle tante forme di sopraffazione e abuso, che tradiscono la paura di “non esistere”.

Quando la tristezza viene anch’essa scacciata e rinnegata dall’illusione e dalla pretesa di un’eterna, lieta e superficiale condizione di felicità obbligata, la depressione è dietro l’angolo, pronta ad assalirci con tutta la potenza della sua legittimità.

Ecco allora che la spinta a rinnegare, non sentire e rifuggire in tutti i modi certa parte del vissuto interiore e della natura umana porta gli individui a vivere una profonda lacerazione che è non solamente psicologica ma anche di senso, emergendo in maniera patologica e disfunzionale in un bisogno sfrenato di conferme, accoglimento ed accettazione, contenimento e riconoscimento che non possono essere esclusivamente riversati sull’altro.

Il sentire, l’appartenere, l’accogliere, il legittimare devono tornare ad essere prima di tutto un atto di consapevolezza privato e individuale, per permettere anche la costruzione di relazioni sane in cui la reciprocità e la diversità, il conflitto e il gioco di appartenenza-autonomia non diventino spaventosi.

 

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Commenti: 4
  • #1

    Anna Maria (venerdì, 13 gennaio 2017 12:14)

    Trovo questo articolo molto utile e consolatorio, mi fa sentire meno anormale nel desiderare relazioni profonde con altri esseri umani, mi informa che c'è anche un problema diffuso a livello sociale e culturale, contestualizza il disagio e la frustrazione sulle difficoltà di riuscita in un aspetto importante della vita umana; indica l'esistenza di condizioni sfavorevoli alla piena e scorrevole realizzazione di relazioni che sviluppino un sano senso di appartenenza, di intimità e di profondità in un ambito più vasto ed oggettivo, diluisce e distribuisce le responsabilità di tali circostanze, che se venissero percepite ed assunte tutte a livello individuale, diventerebbe un macigno distruttivo di senso di colpa e di incapacità personale.
    Grazie.

  • #2

    Francesco (venerdì, 10 marzo 2017 19:11)

    Esco da una lunghissima relazione con una manipolatrice. Solo dopo la rottura ho cominciato a capire, con enorme dolore, la realtà di ciò che è avvenuto. Negli ultimi anni provavo grande insoddisfazione: ogni tentativo di comunicare con lei falliva miseramente. Ora so perché. Abbiamo due figli e arrivo a pensare che non siano miei, a tanto giunge chi manipola: giocare con le vite degli altri. Credo che l'unica difesa sia la fuga e/o il contatto minimo, tuttavia ritengo grave che questa gente sia poi libera di devastare altre vite. Ciò è possibile perché di questi temi nessuno sa nulla, quando tento di spiegare le dinamiche devastanti che questi esseri mettono in atto nesssuno mi crede. Ti raggirano alla perfezione e alla fine il pazzo sei tu, agli occhi di tutti. Tu vai in analisi e loro no, non penseranno mai di averne bisogno e nessuno dei loro cari, manipolati anch'essi, avrà la forza ed il coraggio di portarceli di peso,.mettendoseli contro. Se un giorno saprò che i miei figli tali non sono continuerò ad essere il loro papà, perché li amo e loro amano me, perché sono sempre stato il loro allenatore emotivo, perché è indegno giocare con le vite degli altri e una società sana dovrebbe avere gli strumenti per isolare le persone indegne che bacano la comunità fino a farla marcire.

  • #3

    Mpia (martedì, 28 novembre 2017 16:16)

    Ottimo spunto, Annalisa, grazie!

  • #4

    Fabio (martedì, 05 dicembre 2017 00:26)

    Ciao Francesco, ho fatto la tua stessa trafila, mi sento un tuo clone... scriverei le stesse cose, ma a differenza tua non riesco ad uscirne, dal vortice!
    Ho scoperto tutto due mesi fa e... vorrei solo morire! Ho deciso di vivere per i miei due figli, ma uno se lo è già ripreso e, se continua con questi ritmi di bugie, per l'altro non manca molto. :'(
    Non so come uscirne... non vedo soluzioni... :(
    In più quella cazzo di sensazione di non essere amabile che mi ha lasciato mi distrugge! :'(